Sabato e domenica scorsi, Napoli ha ospitato il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, un’importante assemblea dedicata alla discussione delle strategie da adottare per dare finalmente seguito all’esito del referendum del 2011. In quella consultazione popolare, i cittadini italiani abrogarono il cosiddetto “Decreto Ronchi”, sancendo il principio che l’acqua è un bene comune e che la sua gestione deve rimanere pubblica.

Durante l’incontro, si sono espressi diversi protagonisti di quella significativa stagione di mobilitazione. Tra questi, padre Alex Zanotelli ha richiamato l’attenzione sulla recente creazione di Acqua del Sud S.p.A., una società istituita in seguito all’entrata in vigore della legge n. 74/2023, che ha sostituito l’Ente per lo Sviluppo dell’Irrigazione e Trasformazione Fondiaria in Puglia, Lucania e Irpinia. Il socio di maggioranza di questa nuova entità è il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il quale prevede di cedere il 30% delle quote a soggetti privati. Questo orientamento del Governo solleva preoccupazioni riguardo alla possibile privatizzazione della gestione idrica, rischiando di limitare l’accesso a questa risorsa essenziale per un numero sempre crescente di cittadini.

Questo sviluppo si inserisce in un contesto di tendenze consolidate negli ultimi vent’anni, che includono il decreto Lanzilotta e le azioni successive dei governi Berlusconi, Monti e Draghi. Questi provvedimenti rappresentano un tentativo di boicottare gli esiti dei referendum del 2011.

Il Ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

Durante il forum, il professor Alberto Lucarelli, ordinario di Diritto Costituzionale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Federico II di Napoli, ha proposto di ricorrere alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Tale ricorso sarebbe motivato dalla possibile violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Secondo il professor Lucarelli, l’aumento delle tariffe del 18% ha avuto un impatto negativo significativo sulla vita personale e familiare, colpendo in particolare numerosi nuclei familiari e configurando una violazione della giurisprudenza costituzionale e del principio di sovranità popolare sancito dall’articolo 1 della Costituzione italiana.

Il Contesto del Referendum del 2011

Il 12 e 13 giugno 2011 si svolsero due referendum abrogativi riguardanti l’acqua e i servizi locali, ai quali parteciparono milioni di cittadini. I risultati furono estremamente chiari: il primo quesito sui servizi locali ottenne 25.935.362 voti a favore, pari al 95,35% dei votanti, mentre il secondo quesito sui servizi idrici ottenne 26.130.656 voti a favore, pari al 96,80% dei votanti. Questo plebiscito espresse una chiara volontà popolare a favore della gestione pubblica dell’acqua.

Nonostante l’esito inequivocabile, il Parlamento italiano non ha adottato misure per attuare i risultati del referendum. Anzi, il Governo Monti tentò pochi mesi dopo di privatizzare l’acqua, ma tale intento fu bloccato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 199/2012. La Corte dichiarò incostituzionale l’articolo 4 del Decreto-Legge 138/2011 (legge 149/2011), che limitava la nascita delle società in-house, cioè quelle a capitale pubblico che gestiscono i servizi locali. Le motivazioni inclusero:

  • Violazione del principio di autonomia statutaria: Limitazione indebita dell’autonomia delle Regioni, che hanno competenza esclusiva sui servizi locali.
  • Violazione del principio di parità di trattamento: Le società in-house erano sottoposte a un regime più restrittivo rispetto alle imprese private senza giustificazione.
  • Violazione del principio di efficienza ed economicità: Restrizioni imposte alla spesa che ostacolavano l’efficiente gestione dei servizi.
  • Violazione del principio di sovranità popolare: I cittadini avevano espresso chiaramente, tramite referendum, la volontà di mantenere la gestione dell’acqua pubblica.

La Corte Costituzionale ha ribadito che le norme simili a quella abrogata dai referendum non possono essere riproposte, riaffermando il valore della sovranità popolare.

Il Quadro Normativo

Il diritto europeo e nazionale stabilisce in modo chiaro il principio dell’acqua come bene comune e la sua gestione pubblica. La Legge n. 36/1994, nota come “Legge Galli”, definisce l’acqua come un bene comune essenziale e vieta la sua privatizzazione. La Corte Costituzionale ha confermato l’importanza della gestione pubblica dell’acqua con le sentenze 199/2012 e 229/2017. Inoltre, il Parlamento Europeo, con la Risoluzione del 15 marzo 2006, ha riconosciuto l’accesso all’acqua come un diritto umano fondamentale, escludendo i servizi pubblici di interesse generale, come la gestione idrica, dal mercato.

Prospettive Future

È fondamentale garantire che i tentativi di privatizzazione dell’acqua, come quelli recentemente avanzati dal Presidente della Giunta Regionale Campana, Vincenzo De Luca, vengano contrastati. È necessario sostenere le azioni dei Movimenti per l’acqua pubblica e assicurare che la giurisprudenza e il diritto europeo vengano rispettati. Le istituzioni devono impegnarsi a rispettare la volontà popolare e a proteggere l’acqua come bene comune, implementando politiche che riflettano i principi di equità e giustizia sociale.

In conclusione, il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua ha sottolineato l’importanza di mantenere l’acqua come bene comune e di garantire una gestione pubblica e trasparente. Solo attraverso un impegno coerente e rispettoso della volontà dei cittadini sarà possibile preservare il diritto all’accesso universale all’acqua e proteggere questo bene essenziale per le generazioni future.